Da qualche tempo nel mio listino sono comparsi i nomi di due giovani produttori piemontesi, che spesso lavorano assieme, ma che hanno cantine distinte: Enrico Druetto e Tommaso Gallina (Azienda Agricola Fato). Chi è venuto a maggio a Vini di Campagna, ha potuto assaggiare i loro vini, per la maggior parte a base Barbera, ottenuti con il rifiuto totale di interventi e nel massimo rispetto dell’ambiente. Ho avuto modo di frequentarli ultimamente e di riscontrare con sollievo una filosofia che è una boccata d’aria fresca per chi, come me, crede nei vini genuini e non adulterati. Salvano vecchie vigne, destinate all’abbandono, e le curano con dedizione, custodendone la più antica essenza. Così è nato il
Quatman (letto alla piemontese “quattro mani” e non all’inglese “Quotmen” come fa qualcuno…), rosato figlio di una vendemmia precoce per evitare che caprioli e cinghiali depredassero le viti coltivate in mezzo a un bosco. E così nascono il Morej (la Barbera di Enrico, allo stesso tempo possente e leggiadra, perfetta per alleviare una giornata cupa come questa), o lo Smentià, l’Aso-Tom, il Guj, il Nessuno (le diverse etichette con cui Tommaso, eclettico e sempre in cerca di qualcosa di nuovo e migliore, battezza le varie declinazioni dei suoi vini). E’ buffo: Enrico è un farmacista, eppure (o forse proprio per questo) ha fatto del rinnegare la chimica la sua parola d’ordine in vigna e in cantina. Mi ha mandato un bell’articolo che vi ripropongo, perchè mi sembra il primo e fondamentale passo per chi si avvicina a una viticoltura consapevole.
PERCHE’ PIANTARE LA VIGNA A MANO
Nel mese di dicembre io e l’ amico Tommaso Gallina stavamo programmando il da farsi riguardo l’impianto della nuova vigna.
Che fare? Affidarsi ai tanti professionisti del settore che arrivano con sistemi automatici di messa a dimora delle viti (precisi al centimetro!), dotati di sistemi GPS avanzati, squadratori del terreno al laser, macchinari in grado di aprire il terreno in qualsiasi condizione manco fossero la spada laser di uno Jedi? ODDIO NO!!!
Certo che a dicembre col gelo, dotati di due zappe e due forchettoni da vite… Ah già… anche di due cordini lunghi 180 metri e segnati col pennarello rosso ogni 75 cm (per sapere a che distanza mettere le viti, no?!). E Tommaso a dirmi “Dai che te ne ricorderai di questa impresa, quando sarai vecchio potrai dirlo a tutti di che avevamo piantato da soli 6000 viti a -4° C, se saremo ancora vivi…”
Ebbene, mi son sempre fidato dell’istinto per le imprese folli e romantiche e anche questa volta ci sono state delle sorprese che porterò sempre con me e saranno importantissime per la mia azienda biologica.
I vecchi sostenevano che la terra che non poteva essere lavorata dai buoi non dovesse essere calpestata fino a quando il tempo non lo avesse permesso. Ora, coi moderni trattori, non ci si rende più conto di quando la terra è troppo umida o troppo asciutta per poter essere lavorata. Si recano enormi danni al terreno, provocando soffocamento delle radici per la troppa compattazione o dilavamento dei nutrienti dello strato fertile del terreno a causa di diserbo…
Innanzitutto le viti messe a dimora non provenivano da un singolo clone di un singolo vitigno, ma da selezioni massali fatte direttamente nelle vigne più vecchie, prelevando i tralci delle viti apparentemente più forti e sane. In fase di innesto nessuna forzatura per garantire l’attecchimento delle barbatelle tramite ormoni e nutrienti chimici. Naturalmente solo le viti più forti sopravvivono, ma sono molto diverse fra loro… c’è quella vigorosissima, c’è quella con molte radichette e smilza, c’è quella che va protetta perchè sembra un cucciolo smarrito.
Il fatto di poter piantare la vigna A MANO aiuta a tastare il terreno passo dopo passo. Dove emergono le pietre o il terreno si fa più compatto abbiamo messo a dimora le viti più forti; deve il terreno è più protetto dalle correnti ed è più fresco, abbiamo scelto di mettere quelle che avevano bisogno di un po’ d’aiuto. Da un metro all’altro possono cambiare l’umidità, la presenza di argilla, si possono incontrare blocchi di tufo affioranti… tutto questo ci aiuterà, per esempio, a prevedere dove la vigna entrerà prima in stress idrico o dove ci saranno più rischi di attacchi fungini per colpa degli eccessi d’acqua.
A distanza di mesi ripenso all’impresa che ho affrontato con Tommaso e mi vengono in mente i panini alla pancetta divorati col vento gelido sulle orecchie, le radici delle piccole viti controllate una ad una, le marne affioranti che rompendosi rivelavano qualche conchiglia fossile (un tempo da noi c’era il mare)… e un male alla spalla destra che tutte le mattine mi ricorda che: HO PIANTATO LA VIGNA A MANO!
Enrico Druetto