Ogni tanto ne faccio una nuova… e questa volta proprio a “casa”. Cinque serate di introduzione al vino naturale da Sodo, il meraviglioso localino di piazza Bodoni dove si possono trovare tutti i vini Senza Trucco. Non ci sono più molti posti, però qualche possibilità c’è ancora! Se avete voglia di affrontare il corso base di degustazione non in chiave convenzionale, ma secondo lo stile puro e senza chimica della vinificazione naturale, questo è il programma che fa per voi! Ogni lezione verranno degustati vini naturali delle diverse regioni italiane e francesi. Che aspettate?
Daniele Coutandin
L’AZIENDA
Non ricordo nemmeno più chi mi abbia nominato il Ramìe la prima volta o dove ne abbia letto. So soltanto che, appena aperta la distribuzione, ho contattato subito Daniele e sono andata a trovarlo in azienda, a casa. Sì, perché nella vita di questa bellissima e compatta famiglia non c’è soluzione di continuità fra la gestione della quotidianità domestica e l’attività della cantina. Tutto si inserisce in un insieme armonico costituito da un territorio fortunato sulle pendici della Val Chisone, a una cinquantina di chilometri da Torino, un gruppo di case che sanno di antico e la volontà di preservare quanto di buono la tradizione ha consegnato. Le vigne sono esposte in un modo così miracoloso che anche in pieno inverno, a queste altitudini (fra i 650 e gli 800 metri), si può lavorare in maniche di camicia, tanto il sole è generoso. Avanà, Avarengo, Chatus, Becuet sono i nomi sconosciuti dei vitigni che si uniscono alla Barbera a formare il Ramìe, per la maggior parte coltivati ad alberello e, qua e là, fra i filari, crescono capperi, finocchietto selvatico e fichi d’india, manco fossimo in Sicilia. Daniele, che dal 2008 gestisce l’azienda fondata dai genitori Laura e Giuliano, inizia qualsiasi discorso parlando di rispetto per il territorio e per le piante: la linea guida è quella del minimo intervento, sulle piante, sul terreno e, naturalmente, in cantina, in modo che, come dice lui, quello che va in bottiglia è puro succo d’uva. Ogni tanto si siede su una panca di pietra in mezzo alla vigna e osserva le piante, le ascolta. La sua è una concezione quasi antropomorfica delle viti, per cui accenna a”ferite” e sensibilità, con il rispetto che si deve a qualsiasi essere vivente. E le piante gli sono riconoscenti e lo ripagano con salute, vigoria e grappoli succosi, ricchi di tutte le sostanze che sono libere di esprimersi in questi casi, quando la chimica è totalmente bandita. Andare a trovare la famiglia Coutandin è una vera esperienza, quasi un tuffo nel passato. Tutto è essenziale e concreto, dal modo di vivere ai rapporti umani, dal cibo al vino, che accompagna benevolo lo svolgimento della vita quotidiana. Quando si torna a casa, dopo qualche ora passata nella Borgata Ciabòt, rimane addosso una nostalgia di genuinità, che ha lo stesso sapore del Ramìe.
I VINI
Il mitico Ramìe, DOC del Pinerolese, è, come dicevo, l’unione di uve antiche dai nomi quasi leggendari. Il vino matura per almeno due anni in acciaio e, quando viene finalmente imbottigliato, si esprime in tutta la sua molteplicità. Naso elegante di frutti rossi e spezie e un palato diretto, con la freschezza che va a braccetto con la mineralità regalata dal territorio. Siamo in montagna, ma la struttura e l’alcolicità (sempre sopra i 13 gradi) non lo farebbero pensare.
Il Barbichè è realizzato con le stesse uve del Ramìe, ma soltanto nelle annate migliori e con le piante più vecchie. Matura in un primo momento in acciaio e poi in barrique usate, per circa tre anni. Un tocco più vellutato, sempre compreso nella vibrante espressività di questo territorio benedetto.
Qui di seguito il video realizzato nel maggio 2015:
La Distesa
Chi non conosce Corrado e Valeria Dottori? Il film Resistenza Naturale di Jonathan Nossiter ha contribuito a renderli famosi anche al di fuori dell’ambito dei vini naturali. Sono belli e genuini, raffinati ma in perfetto accordo con l’ambiente contadino. Le etichette che producono sono il collegamento più diretto, lampante e sincero fra vitigno, territorio e filosofia naturale.
Quest’estate siamo andati a trovarli e mi è successa una cosa che mi capita davvero di rado: ho invidiato la loro condizione di vita. In tempi non sospetti, quando non era ancora di moda tornare alla terra, la coppia ha lasciato Milano per trasferirsi a Cupramontana, paese di origine della famiglia di Corrado. C’era un po’ di terra e l’idea iniziale è stata quella di dare vita a un agriturismo. Soltanto in un secondo momento è nata la consapevolezza che proprio quella zona era un cru del Verdicchio e non sfruttare l’ettaro di vigna impiantata dal padre di Corrado sarebbe stato un peccato mortale. Così all’inizio degli anni Duemila La Distesa è diventata un’azienda vitivinicola, attenta da subito alla produzione di Verdicchio di qualità realizzato nel pieno rispetto dell’ambiente e della salute del consumatore. Dicevo dell’invidia: una bellissima casa in campagna, i bambini liberi di giocare in mezzo alla natura, il silenzio, gli amici che si incontrano in paese. Tutte cose normali per i nostri nonni. Eppure ormai un sogno per molti di noi. Forse è proprio il caso di prendere ad esempio Corrado e Valeria e capire che andare avanti a volte significa tornare indietro, a un sistema di vita dimenticato.
IL VINO
E’ uno dei primi vini naturali che ho assaggiato quello di Corrado e ha avuto su di me un effetto destabilizzante. La sensazione è la stessa che si potrebbe provare a camminare su una corda sospesa con la rete sotto e poi, di punto in bianco, non vedere più la rete. Mi sono saltate contemporaneamente tutte le certezze legate al vino. Poi ho iniziato a prenderci gusto e la rete sotto non ce la volevo più.
Terre Silvate è il Verdicchio base, quello più facile e beverino. In realtà è Verdicchio al 95%, per il resto Trebbiano e Malvasia. Viene vinificato in acciaio e, nel bicchiere, trasmette i suoi profumi di frutta gialla e fiori primaverili, con delle interessanti note di ginestra e fiori d’arancio. In bocca si fa strada allegro, tanto che un bicchiere tira l’altro e la bottiglia finisce prima che tu ne sia davvero sazio.
Gli Eremi è un vino che ha un solo problema: ce n’è sempre troppo poco. E’ un capolavoro di energia: è l’anima stessa del Verdicchio condensata prima in botte poi in bottiglia. Profumi che si srotolano lenti partendo dai prati per poi salire sugli alberi di frutta bianca. I picchi degli agrumi sono gli ultimi a lasciare il naso prima dell’assaggio. Potente, elegante, magico: sa fare volare con la sua armoniosa combinazione di acidità, mineralità, lunghezza e persistenza. Quest’ultima, in particolare: va oltre il palato e le sensazioni retronasali. Arriva al cuore. E da lì sembra non volersene più andare.
Nur è un uvaggio di Verdicchio, Malvasia e Trebbiano. Macera per circa una decina di giorni sulle bucce senza, per questo, diventare impegnativo. Mantiene sempre una leggiadria che parte dai sentori, che ricordano un prato appena tagliato, con dentro mazzetti di fiori ed erbe officinali. Anche qui le note agrumate emergono fra le altre, protraendosi in bocca dopo la deglutizione. Non me lo ricordavo: l’ho riassaggiato con Corrado e Valeria quest’estate e mi è sembrato così adiacente a loro da commuovermi.
Nocenzio è il rosso de La Distesa. 60% Montepulciano, 35% Sangiovese e 5% Cabernet Sauvignon. La fermentazione avviene in tini aperti e la maturazione in barrique vecchie. Il colore intenso e i profumi croccanti lasciano pensare immediatamente a un vino contadino, schietto e rustico, invece l’ingresso in bocca stupisce con una bella eleganza di fondo, che ne fa un prodotto intrigante, completo e, tanto per cambiare, dalla bella bevibilità.
Qui di seguito il breve video girato in azienda ad agosto:
TORINO BEVE BENE ’15
Finalmente mi sono decisa! A quasi due anni dall’apertura di Vini Senza Trucco a Torino e dopo diverse sollecitazioni da parte di amici produttori, ecco una manifestazione con tutte (o quasi) le aziende che rappresento in città. Volevamo una location centrale e non troppo istituzionale e così ci siamo rivolti al Jazz Club di Piazzale Valdo Fusi, un locale che “suonerà” molto familiare agli amanti della bella musica.
Ai banchi d’assaggio saranno presenti circa 25 produttori e si potranno comunque assaggiare anche le etichette di coloro che non riescono a venire di persona. Ingresso aperto al pubblico a 10 euro con la degustazione libera di tutte le bottiglie e la possibilità di acquistare quelle che si preferiscono. Oltre ai vini, saranno in assaggio anche i prodotti dell’Agrisalumeria Luiset e i mieli Sanlorenzo. In più, per tutta la giornata, dal brunch alla cena, verranno proposti i piatti preparati da Sodo, il Bordò Senza Trucco, di piazza Bodoni.
Sono molto grata alle cantine che hanno accettato di partecipare, investendo una volta di più su Torino, una città che sta velocemente scoprendo e consolidando la propria passione per i vini naturali. Molti produttori arriveranno direttamente da Montecatini, dove il giorno prima, sabato 24 ottobre, riceveranno il riconoscimento della guida Slow Wine.
Se cliccate sulla locandina andrete direttamente sulla pagina del sito di Senza Trucco dedicata all’evento.
Ecco i produttori che parteciperanno all’evento:
Asotom
A’ Vita
Ca’ dei Zago
Ca’ del Vent
Campi di Fonterenza
Cantina Morone
Cantine del Castello Conti
Carussin
Cascina Bruciata
Cento Filari
Enrico Druetto
Giulia Gonella
Vittorio Graziano
La Distesa
La Marca di San Michele
La Raia
Le Rocche del Gatto
Andrea Occhipinti
Piccolo Bacco dei Quaroni
Podere Le Boncie
Punta dell’Ufala
Quarticello
Teobaldo Rivella
Rocco di Carpeneto
Santa Caterina
Franco Terpin
Andrea Tirelli
Zidarich
Co.Vi.Bio con una selezione di vini di:
De Fermo
Franco Masiero
Vigneto San Vito
Jaques Lassaigne
Ruppert-Leroy
Emmanuel Giboulot
Marc Kreydenweiss
L’appuntamento è per domenica 25 ottobre, dalle 11 alle 21 al Jazz Club di piazzale Valdo Fusi. Vi aspettiamo!
Punta dell’Ufala
Ciò che mi ha più colpita quando ho conosciuto Paola Lantieri, proprietaria dell’azienda Punta dell’Ufala, sono stati i suoi occhi: brillanti e pieni di sogni. Anzi, soprattutto di un sogno, seguito e perseguito con una volontà che lei stessa ha definito “incosciente”. Ho sempre invidiato chi riesce a cambiare vita accantonando schemi mentali di decenni per imboccare la propria direzione, quella che ha scelto da sè. E dai racconti di Paola emergeva proprio questo: a un certo punto della sua strada ha deciso di acquistare la più vecchia casa dell’isola di Vulcano e gli otto ettari di terreno circostante e di provare a recuperare un’agricoltura che da decenni sull’isola è stata abbandonata. Lei ricordava che quando veniva qui da ragazza, la vallata rivolta a sud, proprio verso la Sicilia, quella chiamata “Gelso”, era tutta coltivata e ogni famiglia aveva qualche filare di Malvasia, con cui realizzava un vino genuino e aromaticissimo per il consumo quotidiano. Le sensazioni di quei bicchieri di vino passito assaggiato dai contadini locali le sono rimaste impresse a livello emotivo e hanno continuato a vibrare negli anni, quando poco per volta l’isola si è svuotata per il boom economico che ha illuso un’intera nazione di poter vivere d’industria e prodotti surgelati facendo a meno della fatica dei campi. Così nel 2003, memore di quei sentori irripetibili, Paola ha deciso di affrontare una sfida sinceramente davvero coraggiosa: coltivare 5 degli 8 ettari a vite e cercare di riprodurre il vino dei suoi ricordi. Senza avere a disposizione conoscenze di viticoltura, agronomi, acqua corrente e telefono, Paola ha dissodato il terreno, ha scelto le barbatelle, ha combattuto contro i conigli selvatici – che in queste zone assumono le fattezze di terribili e pericolosissimi mostri leggendari – e ha iniziato a produrre il suo vino. Sull’isola non ci sono cantine, quindi ogni vendemmia consiste nel raccogliere i grappoli in cassette di legno, caricarli su un camion, che sale su una nave che a sua volta li porterà a Salina, dove avviene la vinificazione. Ora, non ditemi che non ci vuole azzardo per imbarcarsi in un’impresa simile, soprattutto per chi non nasce nel mondo dell’agricoltura.
Però poi Paola stappa una bottiglia della sua Malvasia delle Lipari e di punto in bianco capisci perché valga la pena di cambiare vita. Il terreno vulcanico su questo versante dell’isola è particolarmente sabbioso e sottile e ha il potere di infilarsi e attaccarsi ovunque, con il suo scintillio scuro, al primo alito di vento. In questo modo il vulcano trasmette la sua mineralità a qualsiasi elemento esposto all’aria, soprattutto all’uva, che è condizionata anche dall’ascesa dello iodio dalla scogliera e dalle spiagge su su lungo le pendici. Con una premessa di questo tipo e una mentalità aperta come quella di Paola, che ha saputo fare tesoro immediato degli insegnamenti di Giovanni Scarfone, produttore naturale del mitico Faro, in provincia di Messina, il risultato è stato un vino sorprendente, dai profumi che racchiudono tutta la vita dell’isola: il mare, la lava di un tempo, le erbe mediterranee esposte al vento, il nettare dei fiori trasformato dalle api, la frutta lasciata ad appassire sui graticci… L’oro che all’occhio è così ammaliante, in bocca si trasforma in un fluido dolcemente suadente, che raggiunge con lentezza ogni angolo della bocca per non staccarsene se non dopo lunghi minuti. La mineralità, dicevo, quasi brusca, la freschezza, che rende i sorsi frequenti e non rinviabili e la lunghezza, morbida e severa allo stesso tempo, tutti i segni che lascia il Vulcano. Da quest’anno Paola realizza anche un’altra piccola perla, una Malvasia secca, nata come esperimento, e di cui ora vorrei ci fossero migliaia di bottiglie.