Dopo due mesi di colpevole assenza, con in mezzo un ingombrante trasloco e una sospirata vacanza, Senza Trucco inaugura la stagione autunnale (qui a Torino stamattina sembra di essere a novembre) con un nuovo articolo di Enrico Druetto, il nostro amico farmacista/produttore, che sta riscontrando grande apprezzamento con i suoi interventi. Questa volta l’argomento è la coltura di leguminose nei vigneti: sarebbe bello se tutti potessero trarre insegnamento dalle parole di Enrico e ricorrere, come lui, alla natura quando ce n’è bisogno e non ripararsi sotto l’accogliente ombrello dei concimi chimici.
Quando si parla di vigna normalmente si pensa a una coltivazione organizzata di viti disposte in file parallele e basta.
La vigna è, o dovrebbe essere, invece un ecosistema complesso che ruota intorno alle piante: la parte aerea di esse è solo la punta dell’iceberg, mentre per diversi metri in profondità nel terreno avvengono l’assorbimento delle sostanze nutritive, la competizione fra radici di diverse specie vegetali, la simbiosi delle radici stesse con svariate micorrize, ecc.
E’ ormai riconosciuta da tempo l’utilità delle leguminose all’interno del vigneto per migliorarne la fertilità. Tra queste possiamo ricordare le fave, varie specie di trifoglio, il pisello proteico, il ginestrino e l’erba medica. Tutte specie in grado di produrre una grande quantità di biomassa che serve a reintegrare la parte organica del terreno, inevitabilmente impoverita dopo ogni vendemmia.
Con le loro radici le leguminose riescono a ospitare un batterio, l’azotobacter, in grado di fissare nel terreno l’azoto, indispensabile non solo per la vita delle piante ma anche per la fermentazione del mosto. Inoltre assorbono dal terreno e rendono disponibili tutta una serie di microelementi che le viti stesse non riuscirebbero a sfruttare da sole, specialmente in terreni argillosi e calcarei. Infine hanno la capacità di proteggere il terreno dal dilavamento eccessivo di nutrienti, che avviene dopo ogni pioggia intensa, e riducono l’erosione del suolo rendendolo più stabile.
Fra le leguminose un posto d’onore spetta sicuramente all’erba medica. Poco utilizzata in passato per un presunto eccesso di competizione radicale con le viti è invece l’unica specie in grado di produrre tanta sostanza organica quanta ne viene prelevata con la vendemmia. Ha radici che si spingono oltre i due metri di profondità e riescono ad aprire e arieggiare terreni molto compatti e asfittici come quelli argillosi. Per finire è in grado, con la sua fioritura prolungata e ripetuta, di attirare gli insetti pronubi come api e bombi.
Per evitare l’utilizzo di concimazioni chimiche è importante quindi ricorrere alle risorse che la natura ci ha messo a disposizione e gestire contemporaneamente sullo stesso appezzamento più specie vegetali rendendone la coltura sostenibile per molti anni.